L’approccio della psicoterapia cognitivo-comportamentale prende origine dalle teorie che gli danno il nome (cognitivistica e comportamentistica) che sono, come visto in precedenza, la filiazione l’una dell’altra. Attualmente è il tipo di terapia più utilizzata a livello mondiale per la comprovata efficacia e la possibilità di utilizzare trattamenti di breve durata.
Pensieri, emozioni e comportamenti sono considerati strettamente correlati. Un determinato evento ci porta a fare pensieri che a loro volta scatenano specifiche emozioni che ci faranno comportare in un modo piuttosto che in un altro. Se il soggetto pensa in modo distorto rispetto alla realtà, sarà facile che provi emozioni disfunzionali. Ad esempio rabbia esagerata per un motivo futile come potrebbe essere un torto subito al volante. Di conseguenza agirà in modo disadattivo (proseguendo l’esempio, questo individuo potrebbe aggredire il conducente dell’altro veicolo).
Ristrutturazione cognitiva: cambiare il modo di pensare
La ristrutturazione cognitiva (cambiare il modo di pensare in modo che diventi più funzionale alla vita di tutti i giorni) sebbene sia il fine ultimo della terapia, questo approccio ritiene fondamentale agire anche sui comportamenti, oltre che sulle emozioni. Pensieri, emozioni e comportamenti, infatti, non si influenzano in modo lineare ma circolare. Se è vero che modificando i pensieri cambieranno le emozioni e di conseguenza il modo di comportarsi, è altrettanto vero che modificando le emozioni o il comportamento in una determinata situazione, cambierà il pensiero.
Come intervenire sui pensieri e le emozioni
Per chiarire questo punto fondamentale utilizzerò un esempio. Se una persona ha paura di trovarsi in ambienti affollati, potrebbe non bastare la consapevolezza che tale fobia derivi da pensieri irrazionali, come potrebbe essere quello di aspettarsi che accada qualcosa di catastrofico. Questo individuo potrebbe continuare a provare ansia e cercare la fuga. In altre parole, cambiare i pensieri riguardanti l’ansia sociale (punto di vista cognitivo) potrebbe non bastare a superare la situazione temuta.
Sarà quindi necessario utilizzare tecniche di tipo comportamentale (esposizione o desensibilizzazione) per permettere al cliente di rimanere nell’ambiente affollato senza provare ansia o cercare la fuga. Ciò avrà effetto (chiamiamolo impropriamente “retroattivo”) sulle emozioni (un minore livello di ansia) e sui pensieri (“non è poi così terribile stare in mezzo alla gente”). È possibile agire anche sulle emozioni. Il soggetto potrebbe pensare “non ho paura, sono solo un po’ emozionato”, evitando così la fuga (che è il comportamento indesiderato) e cambiando il pensiero originario (invece di pensare “starò con tanta gente e questa è una catastrofe”, qualcosa come “non è poi così drammatico partecipare a questa festa”).
Dello stretto rapporto fra pensiero, emozione e comportamento si è occupata in particolare la RET (terapia razionale emotiva) di Albert Ellis che è una diretta filiazione del movimento cognitivo-comportamentale e verrà trattata a parte.
L’approccio della terapia cognitivo-comportamentale
Il terapeuta nell’ottica cognitivo-comportamentale ha un ruolo direttivo infatti, oltre ad essere un esperto dal quale il paziente può sempre avere chiarimenti. Assegna una serie di compiti (diari di vario genere, esercitazioni sulle tecniche apprese o vere e proprie prescrizioni comportamentali) e funge da modello per insegnare come affrontare determinate situazioni di vita nel modo migliore.
In questo tipo di terapia non è pensabile che bastino quelle 1-2 ore a settimana di seduta per risolvere i problemi per cui ci si è rivolti ad uno specialista. Ciò avrebbe del magico o più che altro del ciarlatanesco. Se il paziente non si esercita costantemente su quanto appreso in seduta otterrà risultati minimi o addirittura nulli. Se a determinati pensieri che sono stati ristrutturati durante la terapia non conseguono comportamenti adeguati nella vita di tutti i giorni, tutto il percorso terapeutico diventa inutile riducendosi a sterili chiacchiere.
Motivazione al cambiamento
Per questa ragione il terapeuta cognitivo-comportamentale, nelle fasi iniziali della terapia, è tenuto ad analizzare molto attentamente quella che viene chiamata “motivazione al cambiamento”. Se non è sufficientemente forte rischia di minare in partenza tutto il successivo lavoro. Proprio perché esso richiede un costante impegno che va ben oltre quello di recarsi un paio di volte a settimana presso lo studio dello psicoterapeuta.
Gli interventi della psicoterapia cognitivo-comportamentale
Questo tipo di psicoterapia prevede interventi flessibili (utilizzando tecniche appositamente create o adattate per il problema specifico) e, a seconda del caso, brevi. Al contrario delle terapie di tipo psicodinamico che mirano ad una totale modificazione della personalità e che possono pertanto durare tutta la vita, la terapia cognitivo-comportamentale è concepita per risolvere esclusivamente e nel più breve tempo possibile i problemi presentati dal cliente.
Un problema di ansia situazionale o di fobia specifica può essere rapidamente risolto (6 mesi sono quasi sempre sufficienti) e la terapia può dirsi conclusa se il cliente non ha altri problemi da risolvere. Naturalmente un problema specifico è il probabile sintomo di problematiche sottostanti. Ma può darsi che il cliente non abbia voglia di affrontare tali problematiche e si accontenti di risolvere il problema nell’immediato. Nel caso volesse invece “andare a fondo” nella questione, il trattamento avrà come obiettivo una più ampia ristrutturazione cognitiva i cui tempi potrebbero essere difficilmente prevedibili.
Affrontare i problemi al momento presente
L’approccio cognitivo-comportamentale pone il suo massimo interesse sui problemi del momento presente e sul metodo più efficiente per risolverli (quello che richiede il minor tempo), senza per questo negare l’importanza della storia personale di vita. Se è vero che i nostri problemi psicologici sono la conseguenza di traumi o di stili educativi sbagliati, il fatto di esserne consapevoli non è di alcun aiuto nel difficile processo di cambiamento. Potrebbe anzi fornire una scusa per fossilizzarsi su stili di pensiero disfunzionali. Tipico esempio potrebbe essere quello del paziente dello psicoanalista che dopo qualche tempo incolpa la madre di tutti i suoi problemi e si sente quindi giustificato a mantenerli.
Vantaggi della terapia cognitivo comportamentale
La terapia cognitivo comportamentale ha il grande vantaggio di potersi adattare alle richieste del cliente (che può essere un individuo singolo, una coppia ma anche un gruppo). Fornisce inoltre una previsione di massima sui tempi e sui costi necessari per la risoluzione dei problemi presentati. La terapia infinita di tipo psicoanalitico non è tollerata in questa ottica.
Inoltre utilizza metodi rigorosamente scientifici per monitorare costantemente l’andamento della terapia e “aggiustare” l’intervento per ottimizzare i risultati. Non è un caso se la stragrande maggioranza degli articoli scientifici nel campo della psicologia pubblicati a livello internazionale è opera di autori afferenti all’ambito cognitivo-comportamentale. Facendo riferimento a parametri osservabili e misurabili (frequenza, durata e intensità) e utilizzando strumenti validati a livello scientifico, tali autori possono fornire prove indiscutibili dell’efficacia dei trattamenti implementati. Cosa impossibile per chi si rifà a teorie psicodinamiche che prevedono l’esistenza di strutture metafisiche tanto affascinanti quanto inafferrabili.
Se l’approccio cognitivo-comportamentale è attualmente il più diffuso al mondo (non in Italia) i motivi sono molteplici. Metodo scientifico, efficacia dimostrata da numerose ricerche, flessibilità e personalizzazione dell’intervento, multidisciplinarietà, ampissimo ventaglio di tecniche a disposizione, prevedibilità di tempi e costi, pragmatismo contrapposto alla vacuità delle teorie psicodinamiche.
I destinatari della terapia possono essere individui singoli, coppie e gruppi (soprattutto per quanto riguarda i training di abilità sociali). Inoltre esiste la possibilità di intraprendere terapie brevi per risolvere specifici problemi senza il fine ultimo di un cambiamento più radicale della personalità.
A cura del Dott. Aldo Gabardo
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*Nota del redattore: le informazioni contenute in questo articolo sono destinate esclusivamente all’uso didattico e non sostituiscono la consulenza, la diagnosi o il trattamento di un medico professionista. Rivolgetevi sempre al vostro medico o ad altri operatori sanitari qualificati per qualsiasi domanda relativa a una condizione medica e prima di intraprendere qualsiasi dieta, integratore, programma di fitness o altri programmi di salute.