Sappiamo come le nostre emozioni condizionano tutta la nostra vita. Se represse o mal gestite diventano spesso autosabottanti. Andare alle radici della nostra esperienza emozionale emotiva dunque diventa il primo passo verso la nostra felicità. Come fare?
Alle radici della esperienza razionale emotiva
Nella resistenza che provate ad aprirvi alle vostre emozioni risiede un giudice interno di cui siete consci solo in parte. Questo giudice è il super-Io. In tutti i casi in cui nella vostra vita sono presenti autosabotaggi e autodistruttività in qualsiasi ambito, dal lavoro alle relazioni, allora siamo in presenza di un super-Io punitivo e di una patologia del Super-Io. In questa situazione di svalutazione, la disistima di voi e l’autopunizione inconscia sono centrali nell’origine del vostro malessere e voi spesso non ne siete affatto consapevoli.
Spesso provate vergogna, non vi sentite all’altezza, vi sentite inadeguati e inferiori agli altri e non sapete perché. In realtà siete come ipnotizzati dal dialogo interno dentro di voi. Cosi abituati a dire a voi stessi che non siete abbastanza bravi, che non valete abbastanza, che siete negativi, che non vi riesce a fare di meglio, che tanto non cambierà nulla, che è meglio rassegnarsi e cosi via… Tutte queste e molte altre ancora sono le parole che vi rivolgete, quasi in automatico. E ne siete convinti. Quasi come fosse un’eco che risuona a ogni vostra azione, ogni vostro pensiero.
Il potere del Super-Io
Provate ora, semplicemente, a ripetere a voi stessi la frase “mi merito di essere felice”. Cosa accade? Quale eco si fa viva? E’ l’eco del Super-Io.
Se prestate attenzione ancora un’istante, potrete notare che nel Super-Io abitano le parole, i rimproveri e le credenze di chi vi ha cresciuto. In fondo, quando siamo preda del Super-Io, noi ci trattiamo e ci parliamo come i nostri genitori si trattavano e si parlavano. Il lavoro emozionale risiede proprio nel divenire consapevoli di tutto questo.
Iniziare il lavoro emozionale
Si può cominciare a far parlare il Super-Io apertamente. In questo modo ci distacchiamo da esso, lo vediamo per ciò che è.
Spesso accade che quando si giunge a questa fase, allorché la persona diventa consapevole di quanto male si è fatta frenandosi, reprimendosi, svalutandosi, allora cominci a provare un grande rimpianto. Contatta un profondo dolore per se stessa e si apre il tempo della compassione verso di sé e della ribellione verso ciò che ci ha represso fino a quel momento.
Esperienza emozionale correttiva: ciò che cura è ciò che spaventa
Parallelamente anche la resistenza si attiva, dando luogo alle reazioni di tranfert con il terapeuta che divengono immediatamente la leva della guarigione. Quello che è stato a lungo impedito ed evitato – la possibilità di una relazione umana di vicinanza autentica – diviene possibile proprio con il terapeuta, ma al contempo fa paura e mobilita tutte le difese.
Come diceva Diane Fosha nel bellissimo articolo “Trauma reveals the root of resilience“, ciò che cura è in fondo ciò che più spaventa. Ecco il miracolo del lavoro emotivo! La ferita viene riparata vivendo una nuova relazione che si definisce appunto “emozionale correttiva” proprio nel qui e ora del trattamento con il terapeuta.
Il dono della neuroplasticità cerebrale
In questa relazione, la persona proverà a fare ciò che non ha mai fatto, appunto a modificare in vivo e in fieri, momento per momento, i suoi atteggiamenti, ciò che dice a se stessa e come si pone nei suoi confronti e con l’altro. Non si limiterà a dirlo, a rifletterci sopra, lo vivrà.
E sarà questo a riplasmare il suo cervello. Il dono della neuroplasticità cerebrale, cioè la possibilità di modificare le nostre reti neurali sarà dunque sfruttato per ricostruire un nuovo modo di essere.
Capite, allora, perchè le terapie che si focalizzano sulla sola narrazione del passato non solo non possono essere risolutive, ma rischiano di essere per sino dannose?
Perché, parlandone, non fate altro che rinforzare la vecchia credenza. Non fate altro che riattivare sempre la stessa rete neurale, ripercorrere il sentiero già tracciato nel vostro cervello. Invece, come diceva lo stesso Carl Rogers, per cambiare qualcosa non si può che cambiarlo. Allora in questa terapia di guarigione emotiva siete forzati inizialmente a non seguire la vecchia modalità, a co-creare con il vostro terapeuta la nuova strada, la nuova rete neurale.
Questo mette in stress il sistema di credenze, difese e atteggiamenti appresi. Accende l’allarme rosso delle resistenze e il semaforo verde della parte di voi che vuole guarire. Ed ecco che, creando una nuova rete neurale, si ripara la vecchia ferita.
Oltrettutto, tale processo è chirurgico perché il sistema stesso ci segnala, senza che dobbiamo partire dall’alfa per arrivare all’omega di una biografia, il punto esatto del trauma. Per questo, pur essendo profondo, il lavoro è nella maggior parte dei casi breve.
Fonti: Erica Francesca Poli – Anatomia della Guarigione