È una frase spesso citata nei circoli spirituali, nei libri di consapevolezza, e persino nelle classi di yoga: “Il dolore è inevitabile, la sofferenza è facoltativa.”
Ma cosa significa davvero vivere questa verità nel corpo, non solo nella mente?
Come possiamo applicare questa saggezza nella vita quotidiana, nei momenti in cui il dolore—fisico o emotivo—ci appare opprimente o paralizzante?
In quasi trent’anni di esperienza come insegnante di movimento e consapevolezza, ho esplorato questa domanda non solo a livello teorico, ma attraverso il corpo, la pratica e le storie delle persone che ho accompagnato nel loro percorso.
E sono arrivata a credere che, pur non potendo evitare il dolore, possiamo assolutamente trasformare il nostro rapporto con esso.
E questo cambiamento — sottile ma radicale — è ciò che ci libera dalla sofferenza.
Comprendere il Dolore
Il dolore fa parte della vita. È una risposta biologica ed emotiva pensata per attirare la nostra attenzione. Ci comunica che qualcosa ha bisogno di cura, di ascolto, di presenza.
A volte è un infortunio fisico, altre volte è un lutto, una paura, una delusione, o la tensione che nasce da una vita vissuta fuori allineamento.
Il dolore è spesso il primo messaggero della verità.
Nel movimento, il dolore può manifestarsi come rigidità, squilibrio, tensione cronica o stanchezza. Nella vita, può presentarsi come perdita, confusione, burnout o cambiamenti profondi.
E anche se può essere scomodo — persino insopportabile — il dolore non è un nemico.
È un’informazione. È una chiamata a tornare.
Non dobbiamo temere il dolore. Anzi, quando impariamo ad ascoltarlo senza resistenza, spesso scopriamo qualcosa di essenziale: un invito a riallinearci, a rallentare, a lasciar andare, o a risvegliarci.
Cos’è allora la Sofferenza?
La sofferenza non è il dolore in sé. La sofferenza è ciò che costruiamo attorno al dolore.
È il dialogo interiore che dice:
– “Non dovrebbe succedermi questo.”
– “Sono rotto/a.”
– “Non ce la farò mai.”
– “Sarà sempre così.”
– “Io *sono* questo dolore.”
La sofferenza è la storia.
È la resistenza.
È l’identificazione con la ferita.
Mentre il dolore è un’esperienza diretta e spesso temporanea, la sofferenza può durare anni—perché è alimentata dai pensieri, dalle emozioni e dal significato che attribuiamo a ciò che viviamo.
Nel momento in cui diciamo “no” al dolore—interiormente o esteriormente—iniziamo a soffrire. Non perché siamo deboli, ma perché non abbiamo ancora imparato a stare nel disagio in modo consapevole e compassionevole.
Il Corpo Come Maestro
I nostri corpi sono saggi. Contengono memoria, verità e presenza. Ma quando ci disconnettiamo da loro—quando ignoriamo, sopprimiamo o forziamo i loro segnali — iniziamo ad accumulare sofferenza.
Questo è uno dei modelli principali che osservo nelle persone con cui lavoro:
Non stanno solo provando dolore.
Sono intrappolate nella sofferenza — in schemi rigidi di movimento, pensiero e identità.
E non è colpa loro. Viviamo in una cultura che ci insegna a intorpidire, distrarci, e andare avanti a tutti i costi. A valorizzare la performance più della presenza. A vedere il movimento come prestazione, non come ascolto.
Ma il corpo non mente. Quando impariamo ad ascoltarlo di nuovo — non dal controllo, ma dalla curiosità, la trasformazione diventa possibile.
Il Movimento Come Porta di Accesso
Ed è qui che entra in gioco il movimento, non solo come esercizio, ma come pratica di presenza. Il sistema che ho sviluppato, SATI Dynamic (Sensory Awareness Training & Inspiration), è nato dal mio percorso di guarigione. Dal burnout, dalla disconnessione, dalla ricerca di verità non all’esterno, ma dentro.
È un approccio che unisce il movimento strutturato alla consapevolezza somatica, alla meditazione, al gioco e all’intelligenza emotiva.
Nel lavoro con SATI Dynamic:
– esploriamo le sensazioni del dolore senza fuggire,
– permettiamo al movimento di emergere dall’interno,
– sciogliamo schemi rigidi non con la forza, ma con l’ascolto e il respiro.
Il risultato è spesso un rilascio — non solo fisico, ma emotivo.
Man mano che ci muoviamo con onestà e sensibilità, iniziamo a riconoscere che molta della nostra sofferenza non è nel corpo, ma nel nostro rapporto con il corpo.
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Dolore Senza Sofferenza
Uno degli spostamenti più potenti che possiamo fare nella pratica—e nella vita—è smettere di cercare di eliminare il dolore e imparare invece a stare con esso, in modo consapevole.
Questo non è passività.
Non significa arrendersi.
È una presenza attiva.
Il dolore dice: “Ascolta.”
La sofferenza dice: “Resisti. Fuggi. Contrai.”
La presenza dice: “Rimani. Respira. Senti.”
Quando incontriamo il dolore da questo luogo di consapevolezza, accade qualcosa di profondo:
Ci rendiamo conto che siamo più grandi del dolore.
Che non siamo il disagio, la limitazione o la paura — siamo chi può osservarli, accoglierli, trasformarli.
E in quell’istante, la sofferenza si dissolve.
Il Tuo Dolore Non è una Condanna
Se stai attraversando un cambiamento di vita, se il tuo corpo si sente bloccato, o se ti senti disconnesso/a dal tuo scopo, voglio che tu sappia questo:
Il tuo dolore non è il tuo nemico.
È una soglia.
Una porta di ritorno a te.
Ciò che alimenta la sofferenza è la convinzione di essere soli, impotenti, o sbagliati.
Ma non lo sei.
Sei umano/a.
Stai guarendo.
Stai ricordando chi sei — oltre la tensione, oltre le storie, oltre la sofferenza.
E attraverso il movimento, la consapevolezza, il respiro — puoi tornare a casa in te stesso/a.
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In Conclusione: Un Nuovo Rapporto con il Dolore
Il dolore è inevitabile.
La sofferenza è facoltativa.
Non è solo una filosofia. È una pratica quotidiana. È un modo di abitare il corpo, di rispondere alla sfida, di vivere la vita.
Quando smettiamo di combattere il dolore e iniziamo ad ascoltarlo, recuperiamo il nostro potere.
Diventiamo più resilienti, più compassionevoli, più liberi.
Lascia che il dolore sia un messaggero, non una prigione.
Permetti al tuo movimento di diventare il tuo linguaggio di guarigione.
Lascia che la presenza sia il tuo cammino verso la libertà.
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