Tew Bunnag è un autore, maestro e praticante thailandese di Tai Chi, Chi Kung e meditazione. Nato in Thailandia e cresciuto tra Inghilterra e Francia, ha saputo fondere la saggezza orientale con la comprensione occidentale. In oltre cinquant’anni di carriera insegna le arti contemplative e accompagna le persone nelle fasi più importanti della vita, nel percorso di approfondimento interiore, invecchiamento, malattia e morte. Radicato nella filosofia buddhista e nelle arti marziali, il suo lavoro si concentra sulla trasformazione interiore, la compassione e la presenza.
Per me, un Bodhisattva contemporaneo, di grande umiltà e ispirazione, e sono felice ed onorata di averlo incontrato nel mio percorso di ricerca e di conoscenza di me.
Abbiamo registrato questa conversazione dopo il nostro seminario di tre giorni “Peace in The Heart” (Pace nel cuore), a Corfù.
Poiché la pace nel cuore è un argomento profondamente rilevante per tutti noi esseri umani – specialmente ora con tutto ciò che sta accadendo nel mondo – ritengo estremamente importante condividere le parole e gli insegnamenti di Tew, in modo da risvegliare il lavoro interiore il più possibile, nel maggior numero di persone possibile.
La pace nel cuore: tra corpo, emozioni e pratica condivisa
Un dialogo su paura, lutto e risposta non violenta
Quattro giorni di seminario sulla “pace nel cuore” si sono chiusi con un’intervista che diventa occasione per mettere in ordine idee, pratiche e intuizioni su un tema che oggi riguarda tutti. Non si tratta, dice Tew Bunnag, di un titolo accattivante: è un’urgenza reale. L’ansia diffusa, la fragilità emotiva e spirituale che attraversano le persone non sono episodi isolati: sono un clima collettivo.
Un’epoca sbilanciata
La pandemia ha agito come un evento destabilizzante globale: confinamento, vaccini, paura e incertezza hanno inciso in profondità e non sono ancora del tutto rimarginati. Su questo terreno si sono innestate le guerre, rese più invasive dall’iper-visibilità tecnologica: apri il telefono e il conflitto è “qui e ora”. Ne deriva uno stato di ansia prolungata, il contrario della pace nel cuore, che pesa sulla salute mentale, emotiva e spirituale.
Che cos’è la “pace nel cuore”
L’idea di benessere, nella formazione di Tew (Tai Chi e medicina cinese), non è vaga: ha pilastri concreti — flessibilità, connessione (con sé, con gli altri e con il trascendente) e pace del cuore. In cinese, il termine shen indica cuore-mente: il cuore non è solo la “pompa” del sangue, ma il registro delle emozioni e dello stato mentale. Senza pace del cuore, anche un corpo forte non è davvero in salute.
Un indizio arriva dal carattere cinese per “pace” (ping): un ideogramma che evoca equilibrio. La pace come energia è armonia e bilanciamento: non uno stato permanente da dare per scontato, ma qualcosa che va mantenuto, perduto e recuperato. Il lavoro spirituale serve proprio a questo: ritrovare l’equilibrio del cuore quando eventi come lutto e paura lo spezzano.
Non basta capire: bisogna lavorare col corpo
Di fronte a ansia, stress o rabbia, siamo abituati a cercare soluzioni cognitive. Utili, sì, ma spesso manca il lavoro attraverso il corpo: la vibrazione fisica dove l’emozione si iscrive (fasce, tessuti connettivi, schemi di movimento). Bisogna “andare nel corpo” a sciogliere pattern fissati — memorie, ferite, traumi — che impediscono la pace del cuore. Non si può “bypassare” ciò che non è in pace.
Le due radici: paura e lutto
Tra i fattori che turbano il cuore, paura e lutto emergono come radici universali, oltre le culture.
Paura
Si manifesta come violenza, panico, paranoia, sospetto, dubbio — la nostra elegante parola “ansia” spesso significa paura. L’approccio proposto non parte dal “perché”, ma dal dove e come la paura si sente nel corpo: è una previsione? un oggetto specifico (ragni)? un costrutto (la morte)? La via di lavoro è energetica, non analitica: mudra (gesti rituali della tradizione buddhista), canto e pratiche che portano in superficie la paura per poterci respirare dentro, nominarla, familiarizzarla. Non promettono l’assenza totale di paura — biologicamente improbabile — ma liberano energia e spostano dalla posizione di vittima alla capacità di trasformare.
Lutto
È la ferita della separazione: dalla nascita (il cordone reciso) fino alle perdite della vita. Il riferimento alla sindrome del “cuore spezzato” (Takotsubo) ricorda che non è solo una metafora: il muscolo cardiaco può risentirne davvero. L’obiettivo non è “andare oltre” facendo finta di nulla — il lutto non ci supera da solo — ma integrarlo perché diventi forza trasformata.
Tre i cardini del lavoro sul lutto:
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Condivisione. Parlare in gruppo, ma anche creare: scrivere, cantare, dipingere, pubblicare ciò che fa male. Aprire, invece di contrarre.
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Il respiro del cuore. Semplici pratiche di Qi (chi) che “spalancano” il petto e sbloccano la sensazione di strozzatura tipica del dolore.
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Rituale personale. Non solo quello pubblico o religioso: un gesto intimo e mirato che permetta comunicazioni rimaste in sospeso (una lettera bruciata, un mandala, un atto simbolico costruito su misura).
Integrato così, il lutto non ci schiaccia; a volte, paradossalmente, ci rende più forti.
Insieme è possibile
C’è un tratto comune a paura e lutto: ci fanno sentire soli. Il seminario ha mostrato che la pratica condivisa (canto, mudra, lavori energetici di gruppo) apre un varco: la pace non è un possesso individuale, è un’energia relazionale. Nel riconoscere la tua paura e il tuo dolore, riconosco i miei; e questo livella identità e appartenenze. Immaginare politiche, educazione e convivenza fondate su questo terreno umano, più che su etichette, cambia la qualità del legame sociale.
Reagire o rispondere
Fuori dal contesto protetto del gruppo, la prova vera è la vita quotidiana. Qui torna l’insegnamento delle arti marziali: la reazione nasce dalla paura e alimenta la logica del più forte. La risposta, invece, è il gesto del cuore centrato: non subisce, non aggredisce, ascolta l’energia dietro l’atto (spesso paura altrui), resta ricettiva (yin) e agisce senza perdersi.
Non è una tattica mentale: richiede addestramento del corpo. Senza un corpo allenato alla calma e alla fiducia, la pace resta una bella idea. L’educazione — anche dei bambini — potrebbe includere questo: non devi reagire a tutto, non devi vincere; puoi rispondere. E la risposta, quando nasce dalla pace, è anche piacevole: la tenerezza del cuore è un luogo dove restare perché “si sta bene”.
Pratica, non slogan
I buoni propositi non bastano. Servono discipline incarnate — Tai Chi, mudra, Qi del cuore, canto, pratiche somatiche — che rendano coerenti mente, emozione e fisico. Anche chi fa bodywork oggi ha in mano uno strumento potente: se non elude la dimensione spirituale, può contribuire alla guarigione di tanta sofferenza. Altrimenti, rischia di fermarsi a fitness, estetica e performance, perdendo il “tesoro”: la pace del cuore.
Un gesto finale
L’intervista si chiude con il mudra della suprema fiducia — il preferito dell’autore — come sigillo di un invito semplice e radicale: lavorare. Da soli e insieme. Per trasformare paura e lutto, per imparare a rispondere invece che reagire, per custodire quella vibrazione delicata e concreta che chiamiamo pace nel cuore.
(Qui trovi la conversazione intera in inglese, e per non perdere le sue parole, ho tradotto sotto nel modo più fedele possibile tutte le domande – risposte)
Tew Bunnag: Eccoci di nuovo.
Evi Choutou: Grazie per il tuo tempo, dopo questi tre giorni in cui hai dato tanto.
Tew: Mi sono appena rinfrescato con una birra…
Evi: …ma ciò che hai condiviso in questi giorni è stato talmente importante che sento sia giusto condividerlo con le tue parole. Abbiamo appena concluso questo seminario di tre giorni sulla “pace nel cuore”. Che cosa significa per te “pace nel cuore”?
Tew: Sento che è importante — non è un tema che ho trovato interessante e basta. È un tema reale, urgente: in questo momento non c’è pace nel cuore delle persone. E, con tutto ciò che sta accadendo nel mondo, non c’è pace nemmeno fuori. Questo ha un effetto su tutti noi, collettivamente. Questa mancanza di pace genera un senso di disagio che incide sulla salute: certamente sulla salute mentale, emotiva e spirituale di tutti — non solo di chi è interessato alla politica o vi è coinvolto, ma anche dei giovani. Molti non capiscono perché si sentono male: “perché sono così stressato? La vita va bene, ho un lavoro, soldi da spendere… eppure c’è una sorta di malessere, una mancanza di benessere”. Questo mi ha colpito negli ultimi anni, in realtà dai tempi del Covid: è stato un evento destabilizzante globale, ha prodotto ansia, un’angoscia collettiva.
Abbiamo vissuto un periodo davvero strano — confinamento, vaccino — e contemporaneamente lo hanno vissuto tutti. Paura e ansia hanno lasciato un segno che, credo, non si è ancora rimarginato. Poi, dopo il Covid, sono arrivate le guerre. La storia umana ha sempre avuto guerre, sì, ma oggi, con la tecnologia, ne siamo molto più consapevoli: ogni volta che apri il portatile, il telefono o la TV, è tutto lì, in tempo reale. Questo, sopra all’ansia irrisolta degli anni del Covid, ha destabilizzato le popolazioni. Viviamo un’epoca di ansia continua, che è l’opposto della pace nel cuore. È un tema da affrontare.
Viene anche dalla mia formazione in Tai Chi e in medicina cinese: il benessere non è vago, è concreto e fatto di aspetti come la flessibilità del corpo e della mente, la connettività — con se stessi, con gli altri, con l’intangibile, il trascendente — e poi c’è la pace del cuore. Puoi essere fortissimo fisicamente, ma se non c’è pace nel cuore, non stai davvero bene. Oggi c’è molta enfasi su fitness e forza — ottimo — ma manca qualcosa: qualcosa di più interiore e spirituale, legato proprio al cuore. Il cuore è straordinario: è un motore che pompa sangue, ma è anche il registro delle emozioni e dello stato mentale. In cinese, shen significa cuore-mente: i due vanno insieme. Se il cuore-mente non sta bene, se non c’è pace, non c’è benessere. Puoi essere fortissimo, ma se sei ansioso, depresso, preoccupato, non stai bene.
Evi: Quando senti la parola “pace”, viene in mente prima l’opposto — la guerra — e poi, come sinonimo, un senso di tranquillità. Così, di solito, si lavora sul conflitto o su ansia e stress. Ma — come dicevi — non è semplicemente l’opposto di quello o il sinonimo di quello: è qualcos’altro. Che cos’è?
Tew: Esattamente, è “altro”. C’è un indizio nella lingua cinese, nel termine per “pace” (ping): il carattere ha cinque tratti e, anche senza conoscere il cinese, lo guardi e vedi “equilibrio”. Molti caratteri antichi sono ideogrammi informativi. Ping indica equilibrio: questo dà una pista. La pace come concetto la capiamo tutti, ma come energia, come vibrazione, riguarda l’equilibrio. Il cuore è in equilibrio. Se il cuore è iperattivo, non c’è pace; se l’energia del cuore è troppo bassa, neppure. La pace è armonia e bilanciamento.
E non possiamo darla per scontata: viene e va. Nel seminario ho chiesto a tutti di ricordare l’ultima volta in cui hanno sentito pace nel cuore: tutti ricordavano — non è uno stato speciale — ma tutti hanno anche detto che va e viene. Non la si può trattenere; la si può mantenere se si sa come: se si sa recuperare l’equilibrio dell’energia del cuore. In fondo la vita spirituale è questo: avere strumenti per mantenere o ritrovare la pace del cuore quando la perdi. Sarebbe irrealistico pensare che, facendo yoga, tai chi o meditazione, resterai sempre in uno stato stabile di equilibrio e pace. Non funziona così: bisogna sapere come recuperarla quando si perde. Come la si perde? In molti modi: il lutto, la perdita di qualcuno; la tristezza; la paura. Queste sono due grandi energie.
Evi: Nell’impostazione del seminario tu sei partito dalle manifestazioni di quelle due radici — rabbia, stress, ansia — e il primo giorno hai lavorato su pulizia e riequilibrio di quelle emozioni. È lo strato iniziale, quello a cui siamo abituati: cerchiamo soluzioni “intellettuali” per la rabbia o lo stress. Non siamo abituati a toccare le due radici — paura e lutto — e a lavorarci attraverso il corpo.
Tew: Esatto. Non contraddico il lavoro psicologico o intellettuale: aiuta. Ma spesso manca il lavoro sul corpo e sulla sua vibrazione — il luogo fisico dove sentiamo ansia, rabbia e simili. Lo vedi anche tu nel tuo lavoro, quando le persone sono bloccate, hanno paura di muoversi liberamente, esplorare il proprio movimento… Per ritrovare la pace del cuore bisogna andare nel corpo e vedere che cosa non è in pace: può trattarsi di schemi nella struttura fisica, nella fascia, nel tessuto connettivo — per esempio di rabbia…
Evi: …anche negli schemi di movimento.
Tew: Si. Ci sono schemi, memorie, ferite, traumi: senza fare psicoterapia (che non è il mio lavoro), ma lavorando energeticamente, vibrazionalmente, vediamo cosa possiamo pulire, sciogliere, disfare di quei pattern fissati che ci impediscono di vivere la pace del cuore. Se non affronti la tua rabbia, l’impazienza verso te stesso, il mondo e gli altri, la pace del cuore resta un concetto che capisci e desideri, ma non ci arrivi “saltando” ciò che non è in pace. Tra tutti i fattori negativi, paura e lutto spiccano: dobbiamo affrontarli e — se possibile — guarirli. Valgono per tutti: il lutto non ha cultura, è universale. La paura non ha cultura.
Evi: In che cosa differiscono paura e lutto?
Tew: Si manifestano in modo diverso. La paura può manifestarsi come violenza, panico, terrore, paranoia, dubbio, sospetto: tutte forme di paura. “Ansia” è una parola elegante che spesso significa paura. Con chi è spaventato non inizio chiedendo “perché?”, ma dove e come la sente: stai anticipando qualcosa che non è ancora accaduto (che produce stress)? È legata a un oggetto esterno (ragni)? È una costruzione (la morte), che spaventa anche se non sta accadendo? Ha manifestazioni fisiche — tremore, blocco, ecc.
Il lutto è diverso: è antico quanto noi, non si “impara”. Inizia dal momento in cui lasciamo il grembo materno: già allora c’è una tristezza, una separazione (il cordone viene tagliato). Ogni perdita riattiva quel tema di separazione. Quando perdi qualcuno, sei separato da quella persona: non c’è più chi condivideva vita, anni, letto, conversazioni. Questa separazione tocca la separazione originaria. Paura e lutto spesso coesistono, ma vanno approcciati in modo diverso, perché sono energie con caratteristiche diverse.
Evi: Come lavori sulla paura?
Tew: Con i mudra (gesti rituali che vedi spesso nelle statue del Buddha). Nella visione buddhista la paura è la radice di molte nostre follie e strategie: paura di avere paura, dell’altro, della natura, dell’ombra, del fallimento… sta sotto le guerre e la violenza. Io ci lavoro con una sorta di canto di mudra, per farla emergere: così puoi respirarla, familiarizzarla, nominarla invece di respingerla. Non garantisce che uscirai “senza paura” — credo che la paura non scompaia mai del tutto, fa parte della nostra biologia — ma smetti di esserne vittima. Non è più la paura a guidare la tua vita. Questo libera energia enorme.
Evi: E non serve capirne per forza l’origine…
Tew: Non serve, anche se può aiutare…se è energia che si muove e vibra, ci si può lavorare — anche attraverso il corpo, la fascia, il tessuto connettivo. Nel processo, la paura si allenta; smette di trattenere il modo in cui pensi, senti, muovi il corpo. Le persone spaventate dal proprio corpo, che non gli permettono certi gesti, quando si sciolgono vivono in modo diverso.
Evi: E sul lutto?
Tew: Lì lavoro in un altro modo. Vengo da anni di esperienza su morte e morire, formando persone ad accompagnare altri — terapeuti e gente comune. Nel tempo ho visto che servono tre approcci integrati. Qualcuno potrebbe chiedere: “Perché occuparsi del lutto? Non dovremmo semplicemente andare avanti?”. Il problema è che, se volti lo sguardo, il lutto non va avanti senza di te: resta. Fa parte dell’essere umani: da bambini perdiamo i nonni, il primo cane, il primo amico; a volte i genitori si separano; più avanti perdiamo partner, amici.
Negli ultimi anni ho incontrato il termine giapponese Takotsubo: la “sindrome del cuore spezzato”. Non è poesia: descrive cosa accade ai muscoli cardiaci quando siamo scioccati da una perdita improvvisa. In alcuni casi le persone restano bloccate in quello shock (incidenti, suicidi, omicidi, addii mancati). Per me l’obiettivo non è “superare”, ma integrare il lutto, così da poter continuare. E spesso, quando il lutto è trasformato, non solo continui: continui più forte.
I tre cardini:
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Condivisione. Parlare in gruppo, ma anche creare: canzoni, pittura, poesia, scrittura. È un aprire ed esporre al mondo la propria ferita, invece di contrarsi.
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Respiro del cuore. Semplici pratiche di qi del cuore per “far respirare” il petto e allentare la sensazione di strozzatura.
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Rituale personale. Non solo quello ufficiale/religioso, ma un gesto intimo cucito su misura per permettere comunicazioni rimaste in sospeso (per esempio, scrivere una lettera d’amore o di gratitudine, poi bruciarla; una partecipante ha strappato la sua lettera e l’ha deposta nel mandala del nostro rito). Il rituale fa parte della guarigione, specie quando “non si è fatto in tempo a dire”.
Così, il lutto ha la possibilità di essere integrato e diventare trasformativo. A fine seminario, una signora mi ha detto: “Sono una persona diversa”. Non ho fatto niente di teatrale: semplicemente le è stato permesso di volgersi al proprio lutto, guardarlo, sentirlo, piangere, lavorarci energeticamente e vibrazionalmente. E qualcosa cambia.
Evi: C’è un punto che vedo in comune tra paura e lutto: in entrambi i casi ci sentiamo soli e disconnessi. Nel lavoro che proponi, però, non siamo soli. E’ stato molto bello quando hai detto: “facciamo una pausa per far entrare l’universo”…
R: È fondamentale. Facciamo pause per permettere all’universo di entrare e guarire. Il lavoro condiviso è essenziale. La pace nel cuore non possiamo farla da soli: per definizione non è un’energia “di proprietà”. Funziona in connessione con gli altri. Lavorando insieme sulle nostre paure scopriamo un terreno comune — lo stesso accade col lutto. Questo porta a pensare che tutto il mondo potrebbe trarne beneficio. Se chiedi alla gente cosa vuole dalla vita, dalla politica, molti dicono “vivere in pace”. Ma come? Il lavoro che facciamo riconosce qualcosa che trascende le divisioni. Puoi lavorare accanto a chi non condivide le tue idee politiche, ma concordi su una cosa: entrambi conoscete paura e lutto.
È un grande livellatore. Immagina valori sociali e politici fondati su questo terreno reale — non su identità (“siamo questo/quello”), ma su esperienze umane comuni: di cosa abbiamo paura? chi abbiamo perso? Questo attraversa le divisioni. La comunicazione empatica nasce da questo riconoscimento: la persona davanti a me non sono io, è se stessa; ma condividiamo questa umanità fragile. Quando lo riconosci in te, lo riconosci negli altri — e non finisce: diventa la base del modo in cui ti relazioni anche con sconosciuti. Non più “che lavoro fai? da dove vieni? religione? istruzione? soldi?” — cose che dividono — ma uno sguardo che dice: hai un lutto; ho un lutto. Hai avuto paura; anch’io. È una connessione gentile, che conduce alla pace.
Evi: Pace nel cuore, pace nel mondo. Come si fa? Come possiamo non reagire, ma rispondere?
Tew: È l’altro tema che abbiamo esplorato. Quando lavori su ciò che blocca la pace e senti la pace (non come concetto, ma come vibrazione tenera, piacevole), ti accorgi che emerge naturalmente — cantando insieme, stando insieme, condividendo. Poi arriva la domanda: come portarla nel mondo? Tra amici affini è più facile; ma quando torni in famiglia — già la famiglia è una sfida — come la mantieni? Che rilevanza ha la pace del cuore quando incontri chi vuole lo scontro, è geloso o arrabbiato? Non c’è una ricetta: le strategie irrigidiscono e ti fanno perdere la pace.
Qui mi hanno aiutato le arti marziali: mi hanno mostrato la differenza tra reazione e risposta. La reazione nasce dalla paura (essere sopraffatti, dominati, perdere) ed è duale: il più forte domina. È il modo in cui funzionano le guerre, e molto del mondo. L’alternativa è la risposta: puoi rispondere con il cuore, restando in pace, centrato, fiducioso. La risposta è ricettiva, yin, ed è molto potente: non ti limita alla superficie (insulto, aggressione), perché ascolti la paura dietro a quel gesto senza farti “infettare” dalla paura altrui. Resti nel tuo centro e agisci dalla pace. Non è una strategia mentale: richiede allenamento. Perché? Perché riguarda il corpo.
Non basta essere ispirati o convinti: serve coerenza dell’intero essere. Molti vorrebbero agire dalla pace ma non ci riescono perché non hanno integrato il corpo. La pace è nella testa o nel cuore, ma il corpo non è allenato alla calma e alla fiducia. E questo è il lavoro delle arti marziali quando sono ben orientate: portarci oltre la violenza e la paura, nella fiducia, così da vivere la pace del cuore in ogni scambio. Non siamo perfetti, ma la possibilità c’è.
E potrebbe far parte dell’educazione dei bambini: non devi reagire a tutto, non devi picchiare o vincere. Rispondere è più piacevole: la pace del cuore è una tenerezza in cui vuoi restare perché si sta bene. Vivere tesi, impauriti, dominando gli altri, non è piacevole; spesso richiede pillole o droghe per sostenere quello stato. Con la pace del cuore non ti serve niente: è una vibrazione che scorre in te. Ma richiede pratica.
Evi: Ed è ciò che vorrei sottolineare: l’importanza della pratica! Dobbiamo lavorarci — da soli e insieme.
Tew: Sì. La pratica è ciò che ci tiene uniti. Senza pratica resta una bella credenza o un’ispirazione — utili — ma non la vivi davvero. E il mondo resta com’è. Se abbastanza persone rischieranno di vivere davvero dalla pace del cuore — cioè in modo non violento, con tanta pratica — allora c’è speranza. Credo che in tutto il mondo ci siano gruppi che stanno facendo proprio questo: rendere reale e coerente il lavoro. Chi fa bodywork oggi ha strumenti potenti: se non distoglie lo sguardo dall’aspetto spirituale, può contribuire a guarire molto dolore nel mondo. Ma bisogna essere consapevoli del senso di ciò che si fa. Molti lavorano sul corpo in modo sincero — per star bene, per essere belli, in forma — tutto giusto. Però, se si tralascia la pace del cuore, cioè la dimensione spirituale del lavoro corporeo, si perde il tesoro di ciò che si fa.
Evi: Vorrei finire con questo… Il tuo mudra preferito…
Tew: E’ vero che questo è il mio mudra preferito: la Suprema Fiducia. (mani sul cuore)
Evi: Grazie.
Tew: Grazie a te.